(Maria Antonietta Rea). Con L’Impero dell’Acqua (Edizioni di Pagina, 2025) Paolo Biondi ci catapulta nella metà del I secolo dopo Cristo con un nuovo personaggio da scoprire, stavolta maschile: Sextus Iulius Frontino. È uno scrittore prassico, uno storico tecnico semisconosciuto nella cultura scolastica italiana la cui opera e vita ha meritato, con questo romanzo, grande attenzione per il ruolo di precisa ricostruzione sia di strategia militare che per la sua immane opera di ricognizione e cura dell’approvvigionamento idrico dell’Antica Roma, l’ultimo dei suoi impegni svolti per l’Impero.
Questo è il dato storico ma Paolo Biondi lo riporta in vita, traendo dai suoi scritti meticolosi, la sua personalità, la sua “ossessione” per la precisione, la cura del bene pubblico, al di là degli Imperatori, con un’etica morale e politica tutta rivolta al senso di Civitas, alla Repubblica degli antichi fondatori. Con lui Roma si anima nei suoi spostamenti rigorosi per strade e quartieri dove pullula la vita, tra miasmi e brezze del Ponentino, Suburra e ville antiche, vicoli dell’urbe e strade sterrate di campagna, rinfrescandoci con quegli zampilli eterni, sopravvissuti fino ai nostri giorni, dell’Impero Romano. È il periodo della Cristianizzazione di Roma, dell’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio sotto Tito e dei primi combattimenti con fiere e cristiani. La vita comune di ricchi, poveri, poeti, senatori e matrone passa nello spostarsi di Frontino, per le sue ricognizioni, attraverso incontri, dialoghi, situazioni, amicizie. Con lui l’antica quotidianità si fa viva, vera, forte come se fosse oggi.
Ed è oggi.
L’uomo non cambia, come i suoi difetti: nel rubare dal pubblico, nell’adulare un potente, nelle delazioni per liberarsi di avversari, nella dissolutezza del declino, nel rimpianto dell’epoca di un Tevere trasparente, con i suoi ponti che univano popolazioni e si aprivano al confronto. Pur servendo fedelmente regnanti che non stima, Frontino ritrova nel suo lavoro sulle acque, la vera potenza di Roma, il fulcro di ciò che l’ha fatta grande: il senso civico delle sue costruzioni civili per il bene comune, l’originalità dell’arte romana che, pur attingendo ai canoni della bellezza greca, con i suoi architetti e sacerdoti sapienti ha innalzato quanto più di funzionale per il bene dei territori conquistati potesse fare: ponti, acquedotti, strade, cloache, fortificazioni.
La superiorità di Roma è nella nascita e nell’applicazione del Diritto, nel non sottomettere i popoli conquistati ma nell’annetterli con la Cittadinanza, prima forma di integrazione sociale di diversità del passato, come oggi non si è capaci di fare. Quanta saggezza andata perduta se confrontata ai nostri giorni. Paolo Biondi ripropone attraverso Frontino, temi attuali, nella regressione di questo tempo tanto simile al suo tempo.
Ma il romanzo è molto di più, Tacito e Frontino, nella loro intima amicizia, sono l’anima duale di Paolo Biondi: la poetica storica del primo e la precisione ossessiva nel tramandare ai posteri un prontuario del passato, del secondo.
La mite diligenza di Frontino è Paolo Biondi che per passione ricostruisce tridimensionalmente ciò che resta di ville, strade antiche, fontane, piazze, vestigia del cuore fondante di Roma. Le sue visioni sono più che mai vivide e vitali, tra sapori, odori, umori di una città che non morirà mai, nonostante il dissennato nostro tempo.
Un romanzo che, pur attingendo profondamente ad una cultura letteraria latina e a fonti archeologiche, nella sua lineare chiarezza avvince anche il lettore più lontano da una formazione classica, e questa è la forza narrativa di Paolo Biondi.
Di tutti i romanzi questo è il suo capolavoro in assoluto per la sintesi efficace tra conoscenza del passato ed attualità. Monito proiettato in un buio futuro dove l’Acqua, preziosa fonte vitale, simbolo anche di purezza morale, è oggi ciò che rischia di intorpidirsi, inquinarsi per poi seccarsi definitivamente travolgendo nella grande Sete, tutti noi.