(Lucio Brunelli, dall’Osservatore Romano). Mezzo secolo a servizio dei papi. Nessun laico nella Curia romana ha avuto come lui accesso agli ultimi pontefici, da Wojtyla a Bergoglio: è stato loro commensale, loro consigliere, in alcuni casi amico. Fino al 2018 il laico con i “gradi” più alti in Vaticano. Per questo le memorie dell’ormai ultraottantenne Guzman Carriquiry (nella foto di copertina con la moglie Lidice e Bergoglio papa Francesco) sono una testimonianza preziosa, e non solo per gli storici della Chiesa o per i vaticanisti. Sono un racconto avvincente per tutti. Per i non credenti, che possono scoprire un Vaticano diverso, raccontato dal di dentro, con sguardo pulito e non clericale. E per i credenti, che resteranno attratti dalla umanità di questo intellettuale di Montevideo che dopo 48 anni vissuti nelle segrete stanze non solo non ha perso la sua fede giovanile (e questo agli occhi di molti è già un piccolo miracolo!) ma anzi è sempre più entusiasta dell’avventura vissuta all’ombra del Cupolone, sempre più gioiosamente certo che solo nella «mendicanza della Misericordia di Cristo» l’uomo sperimenta il suo volto più autentico. Il volume, disponibile dal 25 agosto, si intitola Il Testimone, mezzo secolo nelle stanze vaticane, edizioni Cantagalli, pp. 368.
Aveva 26 anni, Carriquiry, quando nel 1972 gli fu proposto di lavorare nella Curia romana. Con Paolo VI prendevano corpo le riforme conciliari. Si voleva dare un maggiore respiro internazionale al governo centrale della Chiesa cattolica, nasceva il Pontificio Consiglio dei laici. In America latina la scelta cadde su questo giovane uruguayano appena laureato in Giurisprudenza, impegnatissimo nelle associazioni della gioventù cattolica, redattore di Vispera, la rivista del filosofo Alberto Methol Ferrè che cercava una via originale per i cattolici del continente, tra guerriglie e golpe militari pilotati da Washington. Temperamento libero, il giovane studente Guzman aveva sottoscritto anche un manifesto di appoggio alla rivoluzione cubana, prima della sua deriva marxista-leninista. Dalla mamma aveva appreso una fede limpida e sentita, grande donna, lei, cresciuta in ambiente laicista e convertita al cristianesimo in un momento drammatico della loro storia familiare.
Carriquiry arrivò a Roma con la sua giovane sposa, Lidice, di cui è innamorato oggi più di allora, e con un bimbetto appena nato, Juan Pablo, chiamato così in omaggio a Giovanni XXIII e Paolo VI. Il nome di Lidice invece era stato scelto dal suocero di Guzman per ricordare un villaggio “martire” vicino Praga che Hitler aveva voluto cancellare dalle mappe geografiche, dopo l’attentato ad un gerarca nazista: “Lidice vivrà!” scrisse il padre nel registro del battesimo. A Roma per la giovane coppia di Montevideo si spalanca il mondo: conoscono un vescovo polacco che visita spesso la curia, si chiamava Karol Wojtyla. Quando divenne papa Giovanni Paolo II prese ad invitare Carriquiry a pranzi di lavoro. Ascoltava i suoi pareri e gli chiedeva anche di redigere qualche discorso quando preparava i suoi epici viaggi latinoamericani. All’interno del Consiglio per i laici Guzman divenne il referente per i nuovi movimenti e comunità ecclesiali. Nel libro racconta con un sorriso le proteste degli iniziatori del Cammino neocatecumenale quando il Papa gli chiese di darsi uno statuto: “San Paolo non ebbe bisogno di uno statuto per evangelizzare i pagani!” erano le urla di Carmen Hernandez, leader del Cammino insieme a Kiko Arguello, ma con entrambi poi crebbe una grande amicizia. Carriquiry conobbe anche don Luigi Giussani, ne è stato convinto testimone al processo di canonizzazione in corso a Milano: «E’ stato molto importante nella mia vita cristiana e nel mio servizio al Papa. Mi sono sempre chiesto perché Papa Wojtyła non lo abbia creato cardinale… Ma essere santo è certamente più importante che essere cardinale…».
Non manca il racconto di alcune delicate missioni diplomatiche affidate a Carriquiry. Inviato a Mosca, nel 1984, con il genetista Jerome Lejeune, unici rappresentanti del Vaticano ai funerali di Andropov, ebbe un colloquio interessante con Berlinguer. Alla conferenza ONU sulla popolazione al Cairo nel 1994 fu nella delegazione che strinse un’alleanza inedita con i diplomatici iraniani.
Poi ci sono i conclavi del 2005 e del 2013 vissuti dall’esterno ma non come semplice spettatore. Predisse e sostenne l’elezione di Ratzinger. Altrettanto accadde con l’elezione di Bergoglio. Il cardinale di Vienna, Schonborn, confidò che il suo voto per il cardinale argentino era stato ispirato anche da un breve scambio di battute con la moglie di un suo amico latino-americano prima di entrare nella Sistina: quella donna era Lidice. I coniugi Carriquiry, da lungo tempo amici di Bergoglio, con Francesco hanno vissuto un rapporto speciale. Con molta parresia nelle memorie sono raccontate anche le perplessità che la coppia manifestava in taluni casi al primo Pontefice latino-americano. Franchezza che non ha mai intaccato l’amicizia e la stima reciproca: «Non è stato facile seguire un Papa gesuita, una personalità spirituale e di governo molto complessa. Mi correggo: forse è stato facile per i popoli, per la gente umile e semplice, per i piccoli, per quelli dal cuore puro… Forse risultava più complicato per noi, le “élite” ecclesiastiche e intellettuali considerate “illuminate”, con più informazioni, ma allo stesso tempo con il rischio di preconcetti ideologici».
Non possiamo qui svelare tutto. Carriquiry certamente non racconta un Vaticano idealizzato. Ricorda quanto gli disse un saggio monsignore tedesco agli inizi del suo lavoro in Curia: «“qui c’è un 10 per cento di santi, un 10 per cento di demoni e un 80 per cento – “come te e me”, mi disse – di poveri peccatori mendicanti della misericordia di Dio. “Ma attenzione!”, concludeva: il 10% di santi è composto da grandi santi e il 10% da terribili demoni”».
Nel 2019 ha lasciato il suo ultimo incarico in Vaticano, come dirigente della Commissione per l’America latina, delle cui vicissitudini è sempre stato appassionato. Poi, per cinque anni, ha accettato la nomina ad ambasciatore presso la Santa Sede del suo amatissimo paese, l’Uruguay. Le ultime pagine del libro sono una lode a Dio per quanto gli ha concesso di vivere, servitore di cinque papi, a Roma, città che adora (è diventato persino tifoso della seconda squadra della capitale); con Lidice “sempre più bella”, con quattro stupendi figli e uno stuolo di nipoti ai quali, principalmente, dedica le sue memorie.