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Lo straniero della porta accanto

Il racconto che segue, pubblicato dall’Osservatore Romano nell’edizione di sabato 15 novembre nell’oramai tradizionale spazio del “Racconto del sabato”  (l’illustrazione è di è parte di una raccolta ancora inedita. Il personaggio del ragazzo appartiene al romanzo “Il regalo di Natale del señor Mendieta” (Robin, 2024).

***

(Alver Metalli). Non è facile dargli una età, ma se dovessi farlo direi tra i quarantasette e i cinquant’anni. Poi è sempre ben vestito, mai trasandato. Raffinato nel portamento, di una distinzione… come dire signor giudice… equilibrata, che non dà nell’occhio e allo stesso tempo non è dozzinale. Insomma, una signorilità al limite tra l’elegante accuratezza e la naturale eleganza, proprio come la casa in cui vive, tra due quartieri molto diversi tra di loro…

… Ah, grazie per il complimento signore. Sa, a scuola ho imparato ad avere dimestichezza con l’esprimermi…

Mi creda: la sua casa è quella di una persona per bene, in un isolato dove le abitazioni sono tutte protette da siepi ben curate e da cancelli in ferro rifiniti con buon gusto. La sua ha la facciata gialla, di un giallo maturo color banana; il tetto, invece, è grigio, un cenerino scuro che si confonde con il cielo quando le nuvole scavalcano le montagne e si mescolano con l’aria inquinata di Città del Messico. Vuole che prosegua? Si? Allora: all’ingresso della casa c’è una fontana a cinque cascate; le coppe somigliano a conchiglie aperte rivolte verso il cielo. L’acqua vi precipita dall’alto, e dopo aver riempito la prima coppa, la più piccola, tracima nella sottostante, leggermente più larga, e così via, sino a riempire la coppa più grande, dove galleggiano le chiazze verdi dei funghi acquatici. La fontana è il punto di ritrovo degli uccelletti della zona; vireos, reyezuelos, i saltadores dalla testa nera, i chipes, gli zanates, i più prepotenti. Come faccio a conoscerli per nome? Beh, mi piacciono gli uccelli e cerco di apprendere con esattezza la loro specie… Ve ne sono sempre sul bordo della fontana e si bagnano nella coppa più piccola, dove l’acqua è meno profonda e cade dall’alto frangendosi in tanti spruzzi.

…No, signore, non so dirle esattamente quando è arrivato. Il momento in cui l’ho notato non coincide con quello della sua apparizione nel quartiere. Può darsi che fosse lì da mesi, o dal giorno precedente a quello in cui ho cominciato ad osservarlo più attentamente, chissà! Degli altri vicini di casa mia non saprei proprio cosa dire; nei quartieri benestanti non si socializza molto.

…Vuol sapere quando ho notato lo straniero per la prima volta? Nessun problema, lo ricordo bene! Era appena iniziato l’anno scolastico, e uscivo da casa tra le 7,15 e le 7,30, per essere a scuola alle 8. Qualche minuto prima delle sette, mentre faccio colazione, il giornalaio del quartiere lancia una copia sopra il cancello della casa di fianco. La mia famiglia non è abbonata a nessun quotidiano, ma sento che, quando arriva con il motorino, rallenta e tira il giornale verso l’uscio del mio vicino. Chissà perché non l’infila semplicemente tra le sbarre! Mi sono sempre proposto di chiederglielo, ma non l’ho fatto. Se la cosa le interessa, le prometto che domani mattina glielo domando e le telefono la risposta….

No, nessun disturbo, non si preoccupi…. Sì, allora proseguo. Le dicevo del giornale: sia che piova o che ci sia bel tempo, generalmente il lancio avviene attorno alle sette, minuto più, minuto meno. Un quarto d’ora più tardi il mio vicino esce a prenderlo e se lo porta in casa. A volte, molto raramente, m’imbatto in lui che lo raccoglie…

…Sì, signore, ho detto che m’imbatto, è esatto. I primi tempi era proprio così; prima che lo notassi veramente m’incrociavo con lui quando uscivo di casa per andare a scuola. Ma poi, da un certo momento in avanti ho cominciato a guardarlo in maniera diversa.

…Cosa intendo per “notarlo in maniera diversa”?… Diciamo che mi ci è caduto l’occhio sopra, o che l’ho visto per la prima volta come qualcosa di diverso dal contesto circostante; non saprei spiegarglielo meglio… Ora aspettavo d’incontrarlo, e non più casualmente! A colazione mi domandavo dove fosse, cosa stesse facendo. Lo immaginavo seduto al tavolo della cucina con del cibo del suo paese, cose dai sapori strani, forse, o simili alle nostre: uova, fagioli, tortillas, frutta, chissà. Vederlo era diventata una necessità, mi faceva sentir bene. Pensavo portasse fortuna, che la mia giornata, se l’avessi veduto, avrebbe avuto… come posso dire… sì, un andamento favorevole…

…Cosa intendo esattamente? Che, se mi fossi imbattuto in lui ci sarebbero state buone probabilità che tutto andasse bene! Pensi che il giorno dell’interrogazione in matematica l’ho incontrato sulla porta quando uscivo di casa, e il professore, a scuola, mi ha chiesto l’unica cosa che sapevo: la radice quadrata. Mia mamma dice che sono tutte sciocchezze, che le cose vanno come devono andare. Io, però, non credo che sia così. Lei cosa ne pensa?…

…Non conta la sua opinione? Mia madre dice che ogni opinione è importante… Sì, proseguo, certo, mi scusi signore: a volte mi faccio prendere la mano dai particolari. Allora… come le dicevo il mio vicino esce di casa tutte le mattine, tra le 7,15 e le 7,30. O quasi tutte. Perché a volte parte per un viaggio. Il giornale, allora, lo raccoglie la domestica, una signora grassa, che arriva tutti i giorni verso le nove e se ne va alle quattro del pomeriggio. Passa il tempo sulla soglia di casa a parlare con Lupita… Lupita? È la domestica di casa mia, una signorina che viene da un paese più a sud di Città del Messico, e, ad essere sinceri, una un po’ ritardata, signor giudice…

…Le stavo parlando della posta, sì. Quando lui non c’è la posta si accumula nella cassetta delle lettere. Deve vedere quanta gliene arriva! Molte lettere arrivano dall’estero, sopra vi sono incollati francobolli strani, con fiori, città, monumenti, volti stranieri. Che avesse un gran numero di rapporti lo si capiva anche dalle visite che riceveva. Possibile che avesse tanti amici? Io, sa, non ne ho nessuno… Perché? Non lo so proprio. Dopo un po’ spariscono senza dire niente, prendono il largo da un giorno all’altro. Mia mamma dice che divento asfissiante; voglio sapere tutto, non ho discrezione…

…Riprendo, sì, da una cosa che proprio non mi aspettavo, e che mi ha lasciato di stucco. L’ho scoperta da solo durante le vacanze di Natale. Ho già detto che il mio è un quartiere di ricchi. Forse per questo c’è una piccola chiesa, su un vicoletto acciottolato un po’ grossolanamente, però le pietre al posto dell’asfalto fanno comunque un bell’effetto. La chiesa di lì è più che modesta, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, decisamente sottotono rispetto al livello del quartiere. Ha il tetto spiovente come certe case dell’Europa che ho visto sul libro di geografia. Conosco il parroco per via della festa patronale. Per tre giorni sparano mortaretti a tutte le ore, cominciando alle sei del mattino. Mio babbo proprio non li sopporta. Ma anche la campana non scherza; è piccola e ha un suono fastidiosissimo… La scoperta che ho fatto? Eccola.

Mancavano pochi minuti alle sette del pomeriggio. Stavo attraversando il parco di fronte quando ho visto distintamente il mio vicino che entrava nella chiesa. Ho pensato che avesse bisogno di qualcosa. Mi sono detto che, forse, aveva ricevuto qualche brutta notizia dal suo paese e voleva far celebrare delle messe dal sacerdote. Per esserne certo ho aspettato che uscisse. Ed è uscito, ma quaranta minuti dopo, alla fine della messa, precedendo una decina di vecchie, di quelle che stanno chiuse in casa ed escono una volta al giorno per andare alla funzione. Era proprio cattolico! Ma non era un prete!

La scoperta mi ha lasciato con il bisogno di saperne di più. Tutte quelle riviste, tutti quegli amici, e andava anche in chiesa tutte le settimane! Con il passare del tempo ho racimolato altre notizie. Per esempio, che era un giornalista. L’ho capito da una rivista, per caso. C’era pubblicato un suo articolo, che parlava della frontiera con gli Stati Uniti, di quello che succede lì, dei centroamericani che cercano di attraversarla senza avere i documenti in regola…

…No, non lo facevo spesso, signore. Sfilavo una rivista ogni tanto, quando vedevo che nella cassetta delle lettere ce n’erano molte. Non se ne sarebbe potuto accorgere di certo. E anche qualche lettera. Mi serviva per conoscere i suoi pensieri, quelli più reconditi, quelli che si confidano agli amici per corrispondenza. Che fosse giornalista, spiegava i suoi viaggi improvvisi e anche quella necessità di leggere il giornale alla mattina presto. Ho anche saputo che era di nazionalità italiana. L’ho dedotto dalle riviste che gli arrivavano, la maggior parte in questa lingua. Io lo so parlare, l’italiano, sa! Non bene, ma lo so leggere. Me l’hanno fatto scegliere come seconda lingua a scuola, al posto dell’inglese. I miei hanno l’Italia in testa.

…Le dicevo delle lettere; erano più interessanti delle riviste. Una gli era arrivata da Roma, la capitale dell’Italia. Non c’era scritto il nome e l’indirizzo di chi gliela mandava, e la firma era uno scarabocchio; non sono riuscito a decifrarla. Chi gliel’aveva scritta gli parlava di un bimbo con un nome strano, Govindo. Un bimbo adottato, da quello che si poteva capire. Adottato e con dei problemi, per giunta. Forse era minorato, forse doveva morire, o tutte due le cose, non so. Chi gli scriveva la lettera gli stava dicendo che gli avevano scoperto una malattia dal nome strano che conduceva alla morte in pochi anni.

Cosa poteva aver risposto a una lettera così? Cosa? Avrei dato qualunque cosa per scoprirlo! Ma non c’era modo. Le lettere che gli arrivavano le potevo leggere, ma quelle che scriveva lui ovviamente no. Qualcosa, però, potevo saperlo a distanza di tempo, se la persona a cui aveva scritto gli rispondeva. Sa cos’ha risposto a quella lettera del bambino ritardato? Che farlo vivere felice anche un anno in più valeva ogni sacrificio. Proprio così…

Un giorno, un sabato, ho deciso di seguirlo. Vorrei non doverglielo dire ma la parola esatta è un’altra: l’ho spiato, spinto da una curiosità che non riuscivo a controllare. So che non è giusto, ma non mi sono pentito di averlo fatto. Quel giorno mi sono svegliato prima del solito, nel timore che lo straniero uscisse di casa poco dopo aver raccolto il suo giornale. Mi sono appostato all’angolo e ho aspettato, ma la porta non si apriva, il giornale era per terra. Il tempo passava, alle otto lo straniero non era ancora uscito per prenderlo. Ho pensato che volesse dormire più del solito, così ho aspettato ancora. Inutilmente. Che non stesse bene? Alle otto e venti il quotidiano era sempre lì. O forse lui si era messo in viaggio, essere partito. Certo, doveva essere andata proprio così. Che delusione! Ma non potevo fermarmi a quello che conoscevo di lui. C’erano troppe cose che non stavano assieme. Mi sfuggiva “la colla”, quello che le teneva unite, capisce signor giudice?

Ho aspettato le quattro del pomeriggio che la domestica grassa se ne andasse. Quando è uscita anche Lupita per parlare con delle amiche, mi sono lasciato cadere dalla finestra del bagno sul tetto del garage. Poi ho scavalcato una rete divisoria e sono saltato nel cortile della casa, quello sul retro. Era la prima volta che lo facevo. C’era un’edera con le foglie piccole piccole, ben attaccate al muro di cinta; un alloro cresciuto storto, dei vasi con delle piante grasse e altri ancora con piante dalle foglie taglienti. Due pappagallini penzolavano a testa in giù da una gabbia rotonda; poco distante un’altra gabbia, rettangolare, con dentro una coppia di canarini gialli immobili sul bastone, uno con le piume gonfiate a palla, l’altro con la testa sotto l’ala. C’era anche una vasca popolata da una dozzina di pesci rossi.

Ero un po’ preoccupato, sono sincero. Quello che avrei potuto trovare nella sua casa mi poteva anche deludere. Mi sarebbe dispiaciuto dovermi ricredere su di lui, e questa poteva essere la ragione di un mio certo nervosismo. Ma dovevo saperne di più, trovare la risposta a quel non so che di enigmatico che c’era in quello straniero!

Così sono entrato.

Mi sono affacciato sulla sala. Davanti a me, una biblioteca piena di libri occupava tutta la parete. Alle mie spalle, un caminetto a legna e, sopra, la fotografia di lui con un altro uomo, più anziano, un sacerdote credo, tutti e due sul terrazzo di un aeroporto sconosciuto. Ho dato in un soprassalto quando l’orologio a pendolo ha battuto il rintocco della mezz’ora. Ma un soprassalto più forte mi ha preso quando l’ho visto. Lui era lì! Seduto. Su una poltrona verde. Si è girato di scatto. Ma non era spaventato. Mi ha guardato con uno sguardo pieno di simpatia! Sono scappato a gambe levate, ma non mi pento di essere entrato di nascosto in casa sua.

Ora posso andare? Non ha altro da chiedermi? Allora ci vediamo, signor giudice!

 

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