La via di Francesco, nove anni dopo l’elezione a Papa

Presto in libreria, con contributi di Ezio Bolis, Francesco Bonini, Rocco Buttiglione, Giorgio Chiosso, Massimo Faggioli, Rodrigo Guerra López, Austen Ivereigh, Angelo Maffeis, Alver Metalli, Matteo Negro, Fabio Pierangeli, Javier Restán, Andrea Riccardi, Andrea Tornielli. Di seguito il prologo del curatore del volume, Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia, scienze umane e della formazione dell’Università di Perugia.

(Massimo Borghesi) Sono trascorsi nove anni dal 13 marzo 2013 allorché il cardinale Jorge Mario Bergoglio è divenuto papa con il nome di Francesco. Il Pontefice latino-americano ha raccolto una difficile eredità: quella di una Chiesa piegata dallo scandalo mondiale della pedofilia del clero, dai disastri delle finanze vaticane, dai traffici di Vatileaks. In pochi anni il Papa è riuscito nel miracolo e ha modificato, agli occhi del mondo, l’immagine di una Chiesa inaffidabile e corrotta. Nondimeno questo non gli ha risparmiato critiche ed incomprensioni di consistenti settori del mondo cattolico. Le accuse, soprattutto da parte di componenti della Chiesa nordamericana e di gruppi tradizionalisti e conservatori, indirizzate al Papa “modernista”, “progressista”, “peronista”, “socialista”, hanno accompagnato la storia del pontificato. Dato il loro peso mediatico hanno contribuito a deformare, agli occhi di molti, il senso vero ed autentico delle parole e dei gesti di Francesco. Per questo appare importante restituire a quelle parole il loro vero significato. Papa Francesco non è un progressista che abbandona la dottrina della Chiesa, né tanto meno un conservatore che dimentica i passi compiuti dal Concilio Vaticano II. È un Papa missionario e sociale che ha come desiderio di rilanciare la tensione polare tra evangelizzazione e promozione umana, la stessa che era al centro della Evangelii nuntiandi del “grande” Paolo VI e che la Chiesa, nel corso degli ultimi decenni, ha ridimensionato ed attenuato nel suo valore. Come scrive il maggior biografo del Papa, Austen Ivereigh:

Il radicalismo di Bergoglio non va confuso con la dottrina o l’ideologia progressiste. È un atteggiamento radicale perché è missionario e mistico. Francesco è istintivamente e visceralmente contrario ai “partiti” nella Chiesa, ed è convinto che il papato affondi le radici nel cattolicesimo tradizionale del santo popolo fedele di Dio, e in particolare nei poveri. Non scenderà mai a compromessi sulle questioni scottanti che dividono la chiesa dall’Occidente laico, un divario che i progressisti amerebbero colmare modernizzando la dottrina. Tuttavia, egli non è nemmeno, come risulta altrettanto evidente, un papa della destra cattolica: non userà il pontificato per combattere battaglie politiche e culturali che ritiene debbano essere combattute a livello diocesano, ma se ne servirà per attirare ed insegnare; né ritiene necessario ripetere all’infinito ciò che è già noto, anzi desidera porre l’accento su quanto è stato in parte dimenticato: la paterna bontà e la clemenza misericordiosa di Dio. E mentre i cattolici conservatori vorrebbero parlare di più di temi etici che di temi sociali, è felice di fare proprio l’opposto, ossia recuperare un cattolicesimo come «indumento senza cuciture». [The Great Reformer. Francis and the Making of a radical Pope].

Quanto scrive Ivereigh consente di situare correttamente la prospettiva del pontificato, una prospettiva certamente diversa rispetto a quella di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, non opposta però. L’opposizione tra Francesco e gli ultimi Papi è stata, com’è noto, il cavallo di battaglia di tutti coloro che, dentro la Chiesa, si sono richiamati a Wojtyla e Ratzinger per criticare Bergoglio. Si tratta, però, di un’opposizione “ideologica”, costruita ad arte. Le diversità, che indubbiamente sussistono tra gli ultimi Papi, corrispondono a sensibilità e valutazioni diverse circa il peso della secolarizzazione e la risposta conveniente da parte della Chiesa. Non concernono la dottrina e la custodia della tradizione della Chiesa. «Se il lungo pontificato Wojtyła-Ratzinger si è caratterizzato per il magistero della Chiesa sulle questioni morali e sociali, per una decisa enfasi “antropologica” legata all’idea di “legge di natura”, papa Bergoglio sembra essere animato da una visione più storico-culturale, e in linea con l’ambiente teologico latino-americano da cui proviene, e da una visione più spirituale che teologica del ministero del pontificato romano. Il pontificato di Benedetto XVI, “papa teologo” (nel senso del teologo accademico), potrebbe rimanere un’eccezione nella storia del cattolicesimo moderno. Lo spostamento dell’accento con Bergoglio, dal papato teologico a quello spirituale, presenta alcune incognite per gli assetti futuri del cattolicesimo. Ma questa scelta alternativa a quella di Ratzinger non fa di Bergoglio un progressista o un liberal (come Ratzinger non era un reazionario). Bergoglio è un “cattolico sociale” con una visione ambivalente e complessa della “modernità”» [M. Faggioli, Papa Francesco e la “chiesa-mondo”].

Tanto Ivereigh quanto Faggioli ci restituiscono, in tal modo, una visione più complessa e adeguata del Papa. Un pontefice, lo ricordiamo, non facile da decifrare nonostante la “semplicità” del linguaggio e del modo di rapportarsi al mondo. Francesco è il papa che vede la Chiesa e il mondo a partire da una visione “polifonica”, fondata sull’idea che la vita, personale-sociale-storica, risulta comprensibile a partire da una prospettiva “antinomica”, polare. È la concezione che Bergoglio ha messo a fuoco ed assimilato grazie al suo progetto di dottorato sull’antropologia polare di Romano Guardini. La teoria degli opposti è una teoria del confronto e della sintesi che si oppone alla dialettica amico-nemico che costituisce l’essenza della teologia politica di Carl Schmitt, dominante nello scenario religioso contemporaneo. È la teoria che sorregge l’impianto teorico di Evangelii gaudium, di Laudato sì, di Fratelli tutti. Nella sua conversazione con Austen Ivereigh, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, Francesco chiarisce bene il debito contratto con Guardini. Grazie al pensatore italo-tedesco si è precisata, per Bergoglio, la forma di un pensiero né irenico, né manicheo. Un pensiero “cattolico” fondato sulla distinzione tra “opposizione” e “contraddizione”.

Guardini mi ha dato una nuova percezione dei conflitti, per affrontarli analizzandone la complessità senza accettare alcun riduzionismo semplificatore. Le differenze di tensione esistono, ciascuna va nella propria direzione, ma coesistono all’interno di un’unità più ampia. Capire come le contraddizioni apparenti possano essere risolte metafisicamente attraverso il discernimento era l’argomento della mia tesi su Guardini, su cui intendevo impostare le ricerche quando andai in Germania. Ci ho lavorato per alcuni anni, tuttavia non ho mai finito di scriverla. Ma quella tesi mi ha aiutato molto, soprattutto a gestire tensioni e conflitti […]. Uno degli effetti del conflitto è vedere come contraddizioni quelle che in effetti sono contrapposizioni, come mi piace chiamarle. Una contrapposizione coinvolge due poli in tensione, che divergono l’uno dall’altro: orizzonte/limite, locale/globale, tutto/parte e così via. Sono contrapposizioni perché sono opposti che tuttavia interagiscono in una tensione feconda e creativa. Come mi ha insegnato Guardini, la creazione è piena di queste polarità viventi o Gegensätze; sono esse a renderci vivi e dinamici. Invece le contraddizioni (Widersprüche) ci richiedono di scegliere tra giusto e sbagliato. (Il bene e il male non possono mai essere in contrapposizione, perché il male non è la controparte del bene, ma la sua negazione). Quello che vede le contrapposizioni come contraddizioni è un pensiero mediocre che ci allontana dalla realtà. Lo spirito cattivo – lo spirito di conflitto, che compromette il dialogo e la fraternità – cerca sempre di trasformare le contrapposizioni in contraddizioni, pretendendo che scegliamo e riducendo la realtà a semplici coppie di alternative. È questo che fanno le ideologie e i politici senza scrupoli. [Papa Francesco, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, In conversazione con Austen Ivereigh].

Le affermazioni di Francesco chiariscono bene non solo il debito ideale contratto con Guardini ma, altresì, l’opposizione al pontificato di quelle componenti del mondo cattolico che risultano permeate dal manicheismo teologico-politico che, dopo l’11 settembre 2001, ha segnato in profondità l’Occidente ed il mondo. Per queste componenti, che per lo più si oppongono alla Chiesa del Concilio Vaticano II, il Papa rappresenterebbe un deciso fautore del primato della Misericordia sulla Verità, della prassi sulla dottrina, della testimonianza sul dogma. Un modernista, quindi, incapace di sostenere la barca di Pietro di fronte al vento del relativismo dilagante. Incapace di posizionare la Chiesa in quella dialettica militante, e non dialogica, richiesta dalle culture wars contro la società secolare. Il punto di vista dei critici, fortemente dicotomico, non consente loro di comprendere come la via di Francesco non opponga la Misericordia alla Verità ma intenda la Misericordia come via verso la Verità, come la manifestazione, storica e fattuale, della Verità di Cristo nel tempo attuale.

Le incomprensioni sono quindi molte ed affondano in un sentimento, della vita e della storia, nutrito di diffidenza e di risentimento alimentato anche dalle correnti populistiche che hanno dominato, in questi anni, la scena mondiale. Esse non hanno però potuto impedire alla testimonianza e alla parola del Papa di incontrare le attese di milioni di uomini, un chiaro segno di pace e di umanità nutrito della lettera e dello spirito del Vangelo. Nei nove anni del suo pontificato, burrascosi come pochi, papa Francesco ha riportato gli “invisibili” sotto i riflettori dei potenti, ha visitato le nazioni periferiche, ha dato voce al grido dei poveri e degli oppressi. Ha corretto una deriva per la quale la Chiesa, dopo la caduta del comunismo, si è ritirata tra le mura di fronte all’incalzare di una globalizzazione sempre più secolarizzante. Una Chiesa impaurita che ha cercato nell’alleanza con i poteri di turno la garanzia della propria sopravvivenza. Ad essa il Papa ha indicato la via di Betlemme, la sfida del Natale, quella per cui il grande si fa piccolo. Come ha detto Francesco nella sua omelia natalizia del 24 dicembre 2021:

Il Vangelo insiste su questo contrasto. Racconta la nascita di Gesù cominciando da Cesare Augusto, che fa il censimento di tutta la terra: mostra il primo imperatore nella sua grandezza. Ma, subito dopo, ci porta a Betlemme, dove di grande non c’è nulla: solo un povero bambino avvolto in fasce, con dei pastori attorno. E lì c’è Dio, nella piccolezza. Ecco il messaggio: Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta. Fratelli e sorelle, sostando davanti al presepe guardiamo al centro: andiamo oltre le luci e le decorazioni, che sono belle, e contempliamo il Bambino. Nella sua piccolezza c’è tutto Dio. Riconosciamolo: “Bambino, Tu sei Dio, Dio-bambino”. Lasciamoci attraversare da questo scandaloso stupore. Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora. Oggi tutto si ribalta: Dio viene al mondo piccolo. La sua grandezza si offre nella piccolezza [Papa Francesco, Omelia natalizia del 24 dicembre 2021].

In questa dialettica del grande e del piccolo trapela la spiritualità ignaziana di Bergoglio, la sua teologia della tenerezza, la quale contiene, nel suo centro, l’immagine paolina del Dio dell’universo che si fa uomo sino alla morte e alla morte di croce.

Nel quadro che abbiamo sommariamente delineato i saggi che compongono il volume costituiscono un prezioso contributo per comprendere il pensiero e la visione del Papa. Non un contributo “agiografico” ma di sostanza. I testi sono il frutto di taluni tra i migliori specialisti sull’argomento, da don Ezio Bolis a Francesco Bonini, Rocco Buttiglione, Giorgio Chiosso, Massimo Faggioli, Rodrigo Guerra López, Austen Ivereigh, don Angelo Maffeis, Alver Metalli, Matteo Negro, Fabio Pierangeli, Javier Restán, Andrea Riccardi, Andrea Tornielli e Francesco Bonini. I temi trattati offrono un’immagine polifonica, “poliedrica”, del pontificato. Coprono argomenti che non hanno sempre goduto dell’attenzione dovuta: dalle analogie di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II con Francesco, alla sua visione della “sinodalità”, all’attenzione per le periferie e le villas miseria di Buenos Aires, alle implicazioni filosofiche di Fratelli tutti, agli autori letterari amati da Francesco, alla figura di Alberto Methol Ferrè e alle radici latinoamericane del pensiero di Bergoglio, al tema della pace e della politica internazionale, alla via della Misericordia. Si tratta di contributi di chiaro interesse che consentono di penetrare nel pensiero del Papa e di chiarire la sua visione della Chiesa e del mondo contemporaneo. La posta in gioco, per credenti e non credenti, è molto alta e la corretta lettura della prospettiva di papa Francesco, a fronte delle manipolazioni interessate e del grande gioco degli interessi in campo, appare come un dovere ed un necessario omaggio verso la verità.