L’ombra luminosa

(di Paolo Ruffini*) Esistono ombre e ombre. Le ombre che ti proteggono, e quelle che ti confondono. L’ombra di chi veglia su di noi ci conforta da quando da bambini la abbiamo prima scoperta e poi ricercata e infine rimpianta fra le braccia materne.

Le ombre malvage invece ci spaventano, ci fanno paura. Anche esse sin dall’infanzia ci ricordano l’esistenza del male e l’importanza della luce.

Le ombre alla fine custodiscono i nostri segreti. Possiamo specchiarci nella nostra ombra. Ma anche aver paura della nostra ombra. Possiamo dimenticarci della nostra ombra, ma anche rimpiangerla. E quando ci sembra di essere noi stessi a pezzi, in frantumi, possiamo riscoprire nella nostra ombra l’unità fragile eppure indistruttibile di quel che siamo: corpo e anima illuminati da una luce che ci trascende.

Le ombre insomma ci parlano. E il segreto per capirle sta in chi guarda.

Conosco Veronica Cantero da quando era poco più che una bambina, e già scriveva libri. Scriveva come una tessitrice. Di storie però, che ricamava instancabile mescolando osservazioni, ricordi e invenzioni. Scriveva per non dimenticare; per tramandare; per fissare nella memoria ciò che aveva saputo guardare. E anche ciò che aveva visto solo nella sua immaginazione. Scriveva cercando l’essenziale che – come insegnò la volpe al piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry – è invisibile agli occhi. Scriveva riallacciando i fili di tante storie in un’unica storia. Che continua. Quella dell’uomo che ricerca sé stesso. E il suo primo libro pubblicato fu proprio un racconto di ombre rubate, Il ladro di ombre. Un racconto sorprendente, originale.

Parafrasando Ippocrate, Ermanno Olmi disse alla fine della sua vita terrena che in troppi vediamo, ma pochi sappiamo. Vediamo senza guardare. Guardiamo senza capire.

Il punto è che occorre un modo diverso di vedere le cose.

Un modo che – spiegò Olmi citando Tolstoj – forse solo i bambini sanno pienamente:

«Per Tolstoj c’erano solo due modi per arrivare alla verità: o l’arte più alta del pensiero, o l’innocenza dei bambini. Sa cosa diceva? “Io sfido i più grandi scrittori a scrivere come scrivono i bambini”. E, badate bene, lo diceva da scrittore. Come Picasso, il cui più grande desiderio era quello di disegnare come i bambini. Tolstoj e Picasso, due ribelli».

Veronica ha questo dono di saper vedere. Citando Papa Francesco e lo scrittore latino-americano Miguel Ángel Asturias, ha spiegato qual è il segreto di questo modo diverso di vedere le cose. Fondato su occhi speciali.

Se quelli di carne servono per catturare la realtà. Questi altri occhi, di vetro, servono per andare oltre: “Quando scrivo con l’occhio di carne osservo la realtà, quando scrivo con quello di vetro la trasfiguro”.

Saper vedere oltre: questo è il segreto, la capacità di andare al di là dell’apparenza; di seminare la possibilità di un oltre nella comprensione delle cose; di ricamare vicende che non sono mai né interamente compiute, né interamente guardate e raccontate; perché la storia continua.

Nei suoi libri l’oltre non indica una alternativa, ma una prosecuzione; non indica un salto (una incommensurabilità) ma una continuità, un dinamismo, una crescita che abbraccia il mistero della vita.

Albert Einstein diceva che la luce è l’ombra di Dio. Perché se Dio che è puro Spirito «quando si materializza non può manifestarsi se non attraverso la luce, la luce non può essere altro che questo: l’ombra di Dio».

Di certo le ombre protagoniste di questo secondo libro che Veronica Cantero dedica a loro, sono luminose, come quella della nube che avvolge Pietro Giovanni e Giacomo quando Gesù – raccontano i Vangeli – fu trasfigurato davanti a loro. E luminose sono le ombre descritte dal bambino Useppe nel capolavoro di Elsa Morante, La Storia, per indicare come comprendere il segno atteso:

“E come riconoscerlo? ho domandato.
E m’hanno risposto:
Il suo segno è l’OMBRA LUMINOSA.
Si può ancora incontrare chi porta questo segno
che raggia dal suo corpo ma insieme lo reclude
e perciò si dice LUMINOSA
Ma anche OMBRA.
A percepirlo non basta il senso comune.
Ma come spiegare un senso? Non esiste un codice.
[…]
Forse lo si vede forse lo si ode forse lo si indovina
quel segno.
C’è chi lo aspetta chi lo precede chi lo rifiuta
qualcuno crede di scorgerlo sul punto di morire.
E certo è per quel segno che sul fiume Giordano
fra tutta la folla anonima confusa
a uno il Battista ha detto: – Sei tu
che devi battezzarmi, e chiedi a me il battesimo! -.
Ombre ombre ombre luminose, luminose, lu-mi-no-se…”

Non è un caso che Veronica Cantero abbia vinto il premio Elsa Morante ragazzi con il suo primo libro sulle ombre.

Il suo modo di vedere e di narrare è infatti luminoso e diffratto, supera gli ostacoli, rompe gli schemi, genera colpi di scena, per questo va oltre la linea d’ombra.

Le ombre che popolano questo racconto sono capricciose, a volte, ma solo perché caparbiamente legate al desiderio di ritrovare – in un modo o nell’altro – l’unità perduta. L’amore spezzato. O come scrive Veronica Cantero in una sua bellissima poesia a far sì che la gioia non sia effimera, che possa fiorire anche in mezzo alle spine con cui la vita ci trafigge.

L’ombra è allora lo specchio di questo desiderio più grande.

Indivisibile eppure divisa. Impalpabile eppure presente. Umbratile eppure capace di amore.

Con una straordinaria capacità di tenere vivo il racconto, senza che vi sia un vero e proprio antagonista, Veronica riesce a costruire la storia di una indagine, e anche di una rinascita.

Alla ricerca dell’ombra perduta, riannoda e ri-srotola il filo del tempo. Cerca in realtà il senso del tutto (“da quando ti ho persa ho perso me stesso”) E così facendo rivela l’impossibilità di cancellare il passato, di lavarlo via con un colpo di spugna. “Come se l’acqua potesse lavar via il senso di colpa”. Ma spiega anche la possibilità di riscattarlo, di trasfigurarlo, di farlo diventare futuro.

Il passato passa, ma rimane. Può essere trasfigurato solo dalla capacità di guardare in profondità, di “guardare con innocenza” l’essenziale oltre l’apparenza; l’unità al di là della divisione; lo spirituale al di là del materiale.

E a questo serve l’arte di raccontare. La scrittura può riunire ciò che è diviso, raccontare l’inatteso, narrare l’anima delle persone, vedere ciò che esse sono nel profondo. Come un artigiano, un falegname che – diceva Sant’Agostino – vede nel tronco non tanto quel che è, ma quel che sarà; così uno scrittore o una scrittrice vede in ogni storia che comincia i tanti suoi possibili sviluppi e li tesse insieme.

Come ha scritto Papa Francesco nel suo Messaggio per la giornata delle Comunicazioni sociali del 2020, noi tutti abbiamo bisogno di storie che nutrano la nostra anima.

“L’uomo è un essere narrante. … le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo. L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità (cfr Gen 3,21), ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita. Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti: infatti, la capacità umana di “tessere” conduce sia ai tessuti, sia ai testi. Le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita”.

Così è per i giovani protagonisti di Amore di ombra. Piccoli eroi di una storia magica inseguono un riscatto fondato sull’amore. E ci fanno guardare con occhi nuovi alle ombre che popolano la nostra vita, specchio di noi stessi.

*Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede